arnaldo pomodoro da giovane
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Arnaldo Pomodoro: l’ultimo maestro della scultura metafisica

Arnaldo Pomodoro: l’ultimo maestro della scultura metafisica

Nel silenzio della sua dimora milanese, il 22 giugno 2025, si è conclusa una delle traiettorie artistiche più paradigmatiche del Novecento e del nuovo millennio. Arnaldo Pomodoro, nato il 23 giugno 1926 a Morciano di Romagna, ha chiuso gli occhi alla vigilia del suo novantanovesimo compleanno, portando con sé il segreto di quella “scrittura” incisa nel bronzo che ha interrogato generazioni di osservatori e critici.

La sua scomparsa non rappresenta soltanto la perdita di un maestro della scultura contemporanea, ma il tramonto di una concezione filosofica dell’arte che ha saputo coniugare rigore formale e inquietudine esistenziale. Le sue opere, disseminate nei luoghi più significativi del pianeta – dal Trinity College di Dublino alle Nazioni Unite di New York, dal Vaticano ai musei di mezzo mondo – continueranno a interrogare il nostro tempo con quella forza archetipica che solo i grandi artisti sanno imprimere nella materia.

Il percorso di Arnaldo Pomodoro

La formazione di Pomodoro si radica nel territorio marchigiano, dove l’infanzia trascorsa a Orciano di Pesaro insieme al fratello Giorgio – futuro Giò Pomodoro, altro protagonista della scena artistica italiana – plasma quella sensibilità che troverà nella scultura la sua più compiuta espressione. Il trasferimento nel 1954 a Milano segna l’inizio di una ricerca che, partendo dai primi altorilievi degli anni Cinquanta, evolverà verso quella tridimensionalità che diverrà il suo marchio distintivo.

arnaldo pomodoro alla Farnesina

Il critico d’arte ha spesso sottolineato come l’opera di Pomodoro emerga da una singolarissima capacità di conferire alla materia una dimensione narrativa inedita. I suoi bronzi sono territori dell’interrogazione, superfici che si aprono e si chiudono secondo una logica che sfugge alla razionalità cartesiana per abbracciare quella complessità che caratterizza l’esperienza umana contemporanea.

Negli anni ’60, l’artista romagnolo affronta decisivamente la tridimensionalità, sviluppando quella ricerca sulle forme della geometria solida che lo renderà internazionalmente riconoscibile. Sfere, dischi, piramidi, coni, colonne, cubi in lucido bronzo vengono “squarciati, corrosi, scavati nel loro intimo”, come lui stesso ha dichiarato, con l’intento di rivelare quella complessità meccanica che si cela dietro l’apparente perfezione formale.

Il linguaggio del bronzo

L’universo scultoreo di Pomodoro si articola attraverso un vocabolario formale che ha saputo conquistare tanto la critica specializzata quanto il grande pubblico. Le sue celebri sfere rappresentano forse la sintesi più compiuta di una poetica che fa dell’opposizione tra superficie e profondità, tra ordine e caos, tra levigatezza e irregolarità, il proprio fulcro concettuale. La sua produzione artistica ha attraversato decenni mantenendo una coerenza stilistica e concettuale che pochi maestri contemporanei hanno saputo preservare. Dal 1958, anno della sua prima mostra personale presso la Galleria del Naviglio di Milano, fino alle più recenti esposizioni, Pomodoro ha sviluppato un linguaggio che si è fatto sempre più essenziale e potente.

Le sue opere sono presenti nelle collezioni dei più prestigiosi musei internazionali: dal Museum of Modern Art e dal Guggenheim di New York alla Tate Modern di Londra, dal Centre Pompidou di Parigi ai musei dell’Europa orientale e dell’America Latina. Questa diffusione geografica testimonia la capacità universale del suo linguaggio di oltrepassare le barriere culturali e linguistiche.

La filosofia della forma

L’arte di Pomodoro si configura come una riflessione profonda sulla condizione dell’uomo contemporaneo e le sue sculture operano una sintesi dialettica tra apollineo e dionisiaco, tra perfezione geometrica della superficie e inquietudine organica dell’interno.

La critica ha spesso evidenziato come l’opera pomodorina nasca da una tensione costante tra costruzione e distruzione, tra l’impulso creativo e quello distruttivo che caratterizza la modernità. I suoi bronzi sembrano catturare l’istante in cui una forma perfetta viene lacerata da una forza interna, rivelando complessità inattese e meccanismi misteriosi. Questa poetica dell’apertura, del disvelamento, dell’esplorazione dell’interno attraverso la frattura della superficie, ha fatto delle sue opere dei territori di contemplazione e interrogazione. Lo spettatore si trova di fronte a oggetti che sfuggono alla classificazione tradizionale, che richiedono un tempo di osservazione e di decodificazione che rimanda a un’esperienza quasi rituale.

L’utilizzo del bronzo come materiale d’elezione non è casuale: questo metallo, che attraversa la storia dell’arte dalle civiltà antiche ai giorni nostri, diventa nelle mani di Pomodoro il veicolo di una modernità che non rinnega il passato ma lo reinterpreta secondo una sensibilità contemporanea. La patina dorata dei suoi bronzi cattura e riflette la luce secondo modalità che cambiano costantemente, conferendo alle opere una vitalità che trascende la staticità tradizionale della scultura.

L’eredità di un visionario

Nel 1995, la costituzione della Fondazione Arnaldo Pomodoro ha segnato una tappa fondamentale nella riflessione dell’artista sul proprio ruolo sociale e culturale. Come ha dichiarato lo stesso Pomodoro, la Fondazione nasce con l’intento di operare “come luogo aperto alla rilettura dell’arte del Novecento e alla creatività dei giovani artisti, uno spazio collettivo di esperienza viva, che mira a un coinvolgimento profondo e globale con le persone e la società”. Questa iniziativa testimonia una concezione dell’arte come patrimonio collettivo, come strumento di formazione e di trasformazione sociale. La Fondazione, diretta da Carlotta Montebello, continuerà a custodire e promuovere l’eredità dell’artista, garantendo quella continuità che è essenziale per la comprensione dell’arte contemporanea.

arnaldo pomodoro da giovane
arnaldo pomodoro da giovane

L’influenza di Pomodoro si estende ben oltre la produzione scultorea: il suo lavoro di scenografo, i suoi progetti per spazi pubblici, la sua attività di docente e mentore hanno contribuito a formare generazioni di artisti e di critici. La sua visione dell’arte come linguaggio universale, capace di superare le divisioni culturali e geografiche, rappresenta un’eredità preziosa in un’epoca caratterizzata da crescenti frammentazioni e polarizzazioni.

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Un lascito per la posterità: il vero testamento di Arnaldo Pomodor

La scomparsa di Arnaldo Pomodoro segna la fine di un’epoca artistica, ma anche l’inizio di una nuova fase nella comprensione della sua opera. Come accade per molti grandi maestri, è dopo la morte che l’opera rivela la sua completa dimensione storica e la sua capacità di resistere al tempo.

Le sue sculture, disseminate nei luoghi più significativi del mondo, continueranno a interrogare le generazioni future sulla natura dell’arte, sul rapporto tra forma e contenuto, sulla possibilità di creare bellezza in un mondo sempre più complesso e contraddittorio. La sua lezione artistica – che ha saputo coniugare rigor formale e profondità concettuale, tradizione e innovazione, dimensione locale e respiro universale – rappresenta un patrimonio inestimabile per la cultura contemporanea. Il maestro romagnolo ci lascia un’eredità che va oltre la produzione artistica: ci lascia un modo di concepire l’arte come strumento di conoscenza e di trasformazione, come linguaggio capace di dare forma alle inquietudini e alle speranze dell’uomo contemporaneo. In un mondo sempre più frammentato e disorientato, la sua lezione di rigore e di passione rappresenta un punto di riferimento essenziale per chiunque creda nella capacità dell’arte di illuminare il cammino dell’umanità.

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