L'importanza di Cindy Sherman oggi
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Perché Cindy Sherman è un’icona e anticipatrice dei tempi

Perché Cindy Sherman è un’icona e anticipatrice dei tempi

Cindy Sherman è uno di quei nomi che resistono alla corrosione del tempo, come un’immagine fotografica sviluppata con tecniche chimiche segrete. Dal suo esordio negli anni Settanta, Sherman ha mantenuto intatta la sua capacità di far parlare di sé — e non per frivole mode o provocazioni fini a sé stesse — ma per un’ostinata, radicale e lucida esplorazione di come ci guardiamo e ci raccontiamo attraverso le immagini.
La sua opera è un dialogo costante tra rappresentazione e identità, tra fiction e realtà. E, nell’epoca in cui i social network ci hanno resi tutti “registi di noi stessi”, le sue riflessioni appaiono ancora più brucianti.
Ma perché, a oltre quarant’anni dalle sue prime serie fotografiche, Cindy Sherman continua a essere un punto di riferimento per artisti, critici e pubblico? La risposta richiede un viaggio attraverso la sua carriera, il contesto che l’ha generata e il modo in cui continua a influenzare la cultura visiva contemporanea.

Un cappello biografico: la nascita di una nuova grammatica visiva

Cynthia Morris Sherman nasce nel 1954 a Glen Ridge, New Jersey, e cresce a Huntington, Long Island. Il suo ingresso nel mondo dell’arte non è quello di una fotografa tradizionale. Anzi, Sherman si laurea in Belle Arti, ma trova nella fotografia uno strumento meno vincolato dal peso della storia dell’arte “pittorica” e più adatto a costruire mondi alternativi.
Negli anni Settanta, trasferitasi a New York, entra in contatto con la scena artistica post-minimalista e concettuale, ma decide di muoversi in una direzione tutta sua: il corpo, il volto, il costume diventano strumenti di ricerca, e la macchina fotografica si trasforma in un complice silenzioso.

La serie Untitled Film Stills (1977–1980) la consacra immediatamente: 69 fotografie in bianco e nero in cui Sherman interpreta diversi personaggi femminili, come se fossero fotogrammi estratti da film inesistenti. Attraverso il travestimento, la posa e la costruzione scenica, Sherman mette in discussione i ruoli imposti alle donne nel cinema e, per estensione, nella società.
Già allora, la sua pratica non era “autoritrattistica” in senso stretto: non voleva parlare di sé, ma usare il proprio corpo come superficie neutra per riflettere stereotipi, paure e desideri collettivi.

Cindy Sherman untitled 2
Cindy Sherman untitled 2

Il contesto: dagli anni Ottanta alla cultura dell’immagine globale

Negli anni Ottanta, mentre la fotografia iniziava a conquistare un posto stabile nel mercato dell’arte, Sherman si spinge oltre il minimalismo formale delle prime opere. Serie come Centerfolds (1981) e History Portraits (1988–1990) abbracciano colori saturi, scenografie elaborate e citazioni artistiche. Non si tratta mai di semplice parodia: ogni immagine è un cortocircuito culturale in cui il passato e il presente si guardano, spesso con un sorriso inquietante.

Contemporaneamente, la cultura pop stava cambiando pelle: MTV, la pubblicità patinata e i rotocalchi ridefinivano la percezione visiva collettiva. Sherman intercetta e deforma questa estetica, anticipando di decenni la consapevolezza critica che oggi abbiamo nei confronti della manipolazione dell’immagine.

Negli anni Novanta e Duemila, il digitale e Photoshop ampliano ulteriormente il suo linguaggio. Serie come Clowns e Society Portraits introducono un elemento ancora più disturbante: volti alterati fino al grottesco, che raccontano ossessioni contemporanee come la chirurgia estetica, l’ansia di invecchiare e l’auto-messa in scena costante.

5 opere che devi conoscere di Cindy Sherman - Clowns
5 opere che devi conoscere di Cindy Sherman – Clowns

L’attualità di Cindy Sherman: cinque chiavi di lettura

Per capire perché Sherman resti rilevante oggi, possiamo isolare cinque direttrici di lettura che attraversano tutta la sua opera e che continuano a parlare alla nostra epoca.

1. Identità come costruzione

Sherman ha mostrato, molto prima dell’era Instagram, che l’identità è un dispositivo narrativo, non una verità fissa. Ogni suo scatto è una maschera consapevole, un invito a diffidare della “spontaneità” delle immagini.

2. Autorappresentazione e potere

Nel suo lavoro, la rappresentazione di sé non è mai narcisismo ma un atto di controllo: lei è regista, scenografa, costumista e interprete. Un ruolo che, oggi, si ritrova nei content creator e negli influencer, ma raramente con la stessa consapevolezza critica.

3. Stereotipi di genere e loro sovversione

Che si tratti di casalinghe anni Cinquanta, nobildonne rinascimentali o starlette di provincia, Sherman non riproduce mai passivamente uno stereotipo: lo esaspera fino a renderlo evidente e discutibile.

4. Metanarrazione visiva

Ogni immagine di Sherman è anche un discorso sull’immagine stessa. Non è solo “cosa” vediamo, ma “come” e “perché” lo vediamo.

5. Universalità del linguaggio

Pur lavorando con riferimenti specifici alla cultura americana o europea, Sherman parla un linguaggio iconico che non necessita di traduzione: travestimento, sguardo in camera, composizione cinematografica.

Cindy Sherman nell’era dei social: un’anticipatrice della realtà del XXI secolo

Oggi viviamo in una società in cui l’autoritratto digitale è la norma. Ogni giorno milioni di persone si ritraggono, filtrano e condividono immagini di sé, oscillando tra autenticità dichiarata e finzione consapevole. Sherman aveva previsto tutto questo, non come fenomeno di massa, ma come inevitabile conseguenza della relazione tra individuo e rappresentazione mediatica.

In un’intervista recente, ha dichiarato che Instagram le piace come piattaforma proprio per la sua natura effimera e per l’enorme varietà di “personaggi” che vi si incontrano. È una sorta di espansione popolare di ciò che lei ha sempre fatto: interpretare, esagerare, inventare identità per mettere in crisi la percezione della realtà.

Influenze e dialoghi: l’eredità di Sherman

La sua impronta si ritrova in artisti visivi, registi, stilisti e performer. Fotografi come Alex Prager, collettivi come Juno Calypso, ma anche registi come Sofia Coppola o Pedro Almodóvar hanno guardato alla sua estetica per costruire universi narrativi dove la femminilità è un territorio di gioco e di conflitto.

Anche il mondo della moda ha tratto ispirazione da lei: maison come Balenciaga e Comme des Garçons hanno collaborato direttamente con l’artista, utilizzando il suo approccio al travestimento per sovvertire codici visivi consolidati. Se vuoi entrare nel vivo della sua produzione e capire come questi concetti si concretizzino in immagini specifiche, ti consigliamo di leggere il nostro approfondimento “5 opere che devi conoscere di Cindy Sherman”, dove analizziamo i lavori più iconici della sua carriera. Quell’articolo è un compendio visivo che dialoga con questa riflessione teorica, completandola.

In un’epoca in cui l’arte rischia di essere fagocitata dalla velocità del consumo visivo, Cindy Sherman rappresenta una forma di resistenza. La sua rilevanza non deriva dal rimanere al passo con le mode, ma dall’aver creato un linguaggio che continua a interrogare lo spettatore.
Le sue fotografie non offrono mai risposte definitive: aprono domande, mettono a disagio, obbligano a guardare più da vicino. E forse è proprio questo il segreto della sua longevità artistica: ricordarci che dietro ogni immagine c’è sempre un doppio sguardo — quello di chi osserva e quello di chi sceglie come essere osservato.

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