5 opere che devi conoscere del Tintoretto
Immagina di trovarti in una bottega veneziana del Cinquecento, dove l’odore di olio di lino si mescola al profumo salmastro che sale dalla laguna. Un uomo dai capelli corvini lavora furiosamente davanti a una tela immensa, i suoi pennelli danzano come spade nell’aria mentre cattura la luce che filtra dalle finestre gotiche. È Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, l’artista che rivoluzionò per sempre il modo di dipingere a Venezia.
Ma cosa rende così magnetiche le opere di questo maestro? Perché, a distanza di secoli, i suoi dipinti continuano a lasciarci senza fiato? La risposta giace in quella straordinaria capacità di trasformare ogni tela in un teatro di emozioni, dove ogni pennellata racconta una storia e ogni gioco di luci svela l’anima umana in tutta la sua complessità.
1. L’Ultima Cena (1592-1594) – Basilica di San Giorgio Maggiore

Se dovessi scegliere un’opera che racchiude tutta la genialità rivoluzionaria del Tintoretto, sarebbe senza dubbio questa Ultima Cena. Dimenticati la composizione austera e simmetrica di Leonardo: qui il sacro si trasforma in un evento drammatico e quasi teatrale.
La scena si svolge in una taverna veneziana, dove apostoli dalle sembianze popolane si muovono attorno al tavolo disposto in diagonale. Ma è la luce a essere la vera protagonista: una lampada sospesa illumina la scena terrena, mentre un bagliore soprannaturale avvolge Cristo e gli angeli che fluttuano nell’aria. È come se il divino irrompesse nel quotidiano, trasformando un pasto ordinario in un momento di rivelazione eterna.
Quello che colpisce è la modernità di questa visione: Tintoretto non ci presenta una Cena idealizzata, ma un evento vivo, pulsante, dove il sacro e il profano si intrecciano in un abbraccio indissolubile. È l’arte che si fa vita, e la vita che si eleva ad arte.
2. Il Miracolo dello schiavo (1548) – Gallerie dell’Accademia, Venezia

Quest’opera segna l’esplosione del genio tintorettesco sulla scena artistica veneziana. La storia, tratta dalla Leggenda Aurea, racconta di uno schiavo devoto di San Marco che viene torturato per aver venerato le reliquie del santo, ma i suoi ceppi si spezzano miracolosamente.
Tintoretto trasforma questo racconto in uno spettacolo di pura energia visiva. San Marco precipita dal cielo come un fulmine, avvolto in drappi svolazzanti, mentre intorno a lui si scatena un turbinio di corpi, gesti e espressioni stupefatte. La composizione è un crescendo di movimento che culmina nel santo in volo, creando una dinamica che sembra far vibrare l’intera tela.
Ma c’è di più: guardando attentamente, si scopre che Tintoretto ha inserito se stesso tra i personaggi, quasi a voler dire che anche l’artista partecipa al miracolo della creazione. È un atto di umiltà e di orgoglio insieme, tipico di chi sa di possedere un dono straordinario.
3. Autoritratto (1588) – Louvre, Parigi

Raramente un autoritratto ha raccontato tanto dell’anima di un artista. Qui vediamo un Tintoretto settantenne, con i capelli ormai bianchi e lo sguardo che sembra penetrare oltre la superficie delle cose. Non c’è vanità in questo ritratto, ma una lucida consapevolezza del proprio destino.
Il volto emerge dall’ombra con quella tecnica chiaroscurale che l’artista ha fatto sua, mentre gli occhi brillano di un’intelligenza ancora vivida nonostante l’età. È il ritratto di un uomo che ha dedicato la vita all’arte, che ha lottato contro i pregiudizi della società veneziana per affermare il proprio stile rivoluzionario.
Guardando questo autoritratto, sembra di sentire la voce dell’artista che ci sussurra i segreti della sua arte, quella stessa arte che lui definiva “il disegno di Michelangelo e il colorito di Tiziano”. Ma Tintoretto era qualcosa di più: era la velocità del lampo che illumina la tempesta.
4. Paradiso (1588-1592) – Palazzo Ducale, Venezia

Con i suoi 22 metri di lunghezza e 9 di altezza, il Paradiso nella Sala del Maggior Consiglio è la tela più grande del mondo. Ma la grandezza non sta solo nelle dimensioni: quest’opera rappresenta il testamento spirituale di Tintoretto, la sua visione dell’eternità dipinta negli ultimi anni di vita.
Al centro della composizione troneggia Cristo in gloria, circondato da una moltitudine di santi e beati disposti in cerchi concentrici che si perdono nell’infinito dorato. È un’opera che sfida le leggi della prospettiva e della percezione umana, creando un senso di vertigine mistica che trasporta l’osservatore oltre i confini del mondo terreno.
Lavorando a quest’opera, il vecchio maestro si faceva calare con delle corde per raggiungere le parti più alte della tela, in un gesto che sembrava simboleggiare la sua ascesa verso l’assoluto. Ogni pennellata era un atto di fede, ogni colore una preghiera dipinta.
5. Susanna e i vecchioni (1555-1556) – Kunsthistorisches Museum, Vienna

In quest’opera giovanile, Tintoretto affronta un tema biblico con una sensibilità che anticipa i tempi. Susanna, sorpresa al bagno dai due vecchioni, non è qui rappresentata come una vittima passiva, ma come una donna consapevole della propria bellezza e dignità.
La composizione è un capolavoro di equilibrio tra sensualità e spiritualità. Il corpo nudo di Susanna emerge dalla penombra del giardino come una visione di purezza, mentre i due vecchi si nascondono tra la vegetazione come ombre del peccato. Ma è lo specchio, elemento innovativo per l’epoca, a rivelare la vera genialità dell’artista: riflettendo il volto di Susanna, ci ricorda che la bellezza vera risiede nell’anima.
Tintoretto ci insegna qui che l’arte può essere specchio dell’esistenza umana in tutte le sue sfaccettature, dalla più sublime alla più meschina, senza mai perdere quella pietà che trasforma anche il dramma in bellezza.
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L’eredità eterna di un fulmine
Mentre il sole tramonta sulla laguna veneziana, le opere del Tintoretto continuano a parlare alle nostre anime inquiete. In ogni sua pennellata rivive quella tensione verso l’assoluto che caratterizza l’essere umano, quella ricerca della bellezza che ci rende immortali pur nella nostra fragilità.
Forse è questo il vero miracolo dell’arte: trasformare il tempo in eternità, la materia in spirito, il silenzio in una sinfonia di colori che risuona nei secoli. E noi, davanti a queste tele, non siamo più semplici osservatori, ma complici di un mistero che si rinnova ad ogni sguardo.
Perché in fondo, ogni volta che ci fermiamo davanti a un’opera del Tintoretto, diventiamo anche noi un po’ veneziani del Cinquecento, testimoni di quella rivoluzione dell’anima che continua ancora oggi a illuminare i nostri cuori.
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